Biografilm Festival 2020. In concorso. This train I ride di Arno Bitschy

di EMILIANO BAGLIO 07/06/2020 ARTE E SPETTACOLO
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Christina ha 30 anni e fa la saldatrice in Wisconsin, una passione che ha sin da quando bambina vide un saldatore sui binari della ferrovia che rappresenta l’altra sua ossessione, quella per i treni merci sui quali sale, verso l’ignoto, appena può.

Karen ha 20 anni e girovaga per gli Stati Uniti, di treno in treno sino a quando non incontra l’amore e decide di trovarsi un lavoro stabile.

Ivy ha 40 anni. Vive a San Francisco, dirige un laboratorio di arte terapia per donne senza fissa dimora, canta, ha un passato da punk, da militante lesbica e da vagabonda dei treni.

This train I ride vive sui binari di una doppia fascinazione.

Da una parte quella delle tre donne, che Bitschy segue nel loro nomadismo ferroviario senza meta, nei confronti dei treni.

Dall’altra c’è quella del regista stesso che in questo suo viaggio si perde spesso, molto più rispetto alle tre vagabonde, stupito dinanzi all’immensità dei paesaggi americani.

Orizzonti infiniti da una parte, giganti d’acciaio dall’altra, il documentario di Bitschy sembra quasi un bignami del mito della frontiera americana.

La conquista del west attraverso la costruzione della rete ferroviaria contrapposta al mito della libertà che rivive in questi magnifici spazi immensi.

Sta qui, sicuramente, la parte più affascinate di un film che va immediatamente voglia di prendere e partire e perdersi, come tra queste donne, tra fiumi, vallate e montagna innevate.

Parallelamente corrono gli spezzoni di queste tre vite spesso narrate attraverso le riflessioni delle protagoniste o grazie ai dialoghi tra loro ed il regista.

Ne viene fuori un ritratto sfaccettato di un’America marginale che ancora insegue il mito di una vita selvaggia e libera a contatto con la natura.

Tuttavia le tre donne non sono certo delle sprovvedute.

Christina ha comunque un lavoro, Karen alterna il vagabondaggio a periodi in cui si ferma in un posto e alla fine decide per una vita più stabile.

Tuttavia, come suggerisce la vicenda di Ivy non si può sfuggire al fascino di quelle rotaie e di quello sguardo stupito ad indicare al regista qualcosa che noi non possiamo vedere.

Così si è sempre pronti a risalire in groppa a questo cavallo d’acciaio, a perdersi in questo mondo a metà strada tra C’era una volta il west e Into the wild.

A riprendere la vita on the road insieme a questa strana comunità di vagabondi delle rotaie.

Cose che forse possono accadere ancora solo in un paese come gli Stati Uniti che offre al viandante solitario la possibilità di perdersi nel nulla.

 

EMILIANO BAGLIO


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